02/08/2018

 I DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE

Commento su:

Isaia 29, 13-21; Ebrei. 12, 18-25; Giovanni. 3, 25-36

DON RAFFAELLO CICCONE

Lettura del profeta Isaia 29, 13-21

Il re Ezechia, sovrano del piccolo regno di Giuda, figlio del re Acaz che ha sempre rivendicato la sua idolatria, associato al trono già dal 728, regna tra il 716 e il 687, ed è particolarmente importante per la riforma religiosa che si impegna a sviluppare.

Nella Scrittura si parla molto bene di questo sovrano poiché ha messo mano ad una intelligente e coerente revisione del culto e della religione ebraica.

La riforma sembra essere stata particolarmente impegnativa nella restaurazione del culto di YHWH, eliminando il culto cananeo e i luoghi sacri pagani. Il re s’impegna sulla centralità del tempio di Gerusalemme, aiutato dall’azione di alcuni profeti che lo incoraggiano nel coordinare gli impegni del cambiamento.

Avendo, di riflesso, assistito al crollo del regno d’Israele (il regno del nord o di Samaria) nel 721, ad opera degli assiri, il piccolo regno di Giuda è rimasto come un cuscinetto tra le conquiste assire e il mondo egiziano. Il re di Giuda paga certo le tasse al regno assiro, ma è indipendente, anzi si rafforza, conquistando popolazioni e città vicine, e si allarga territorialmente, pretendendo addirittura di contrastare il regno assiro.

I preparativi per la guerra, segretamente alleandosi con gli egiziani, devono dare una spallata al mondo assiro. Il tutto è molto contrastato da Isaia che vede l’operazione come una pazzia. Di fatto, nel 701 il re assiro Sennacherib scende verso la costa, nella regione dei filistei, abbatte tutte le fortezze e invita Gerusalemme ad arrendersi. Quindi, superando le incertezze, di fatto assedia la città e vi rinchiude la popolazione. Ma, improvvisamente, e non si sa veramente perché, da un giorno all’altro viene tolto l’assedio, forse per una epidemia, o per un aiuto consistente degli egiziani, o per motivi politici interni al mondo assiro, o addirittura per un atto di sottomissione del re che, comunque, invia grande quantità di oro e argento a Ninive come tributo.

I fatti storici precedenti aiutano a cogliere il senso delle parole di Isaia, Il profeta, che è vigile custode del rapporto di fiducia nell’Alleanza con il Signore, individua, nella religiosità che si pratica in Giudea, un pericolo sempre esistente che qui acquista caratteri molto evidenti: diffusa superficialità, un forte formalismo nella pratica del culto, tenace attaccamento ai gesti, scrupolo per assolvere precetti, parole di preghiera ripetute con le labbra, senza una consapevolezza ed una adesione di cuore. Ma Dio vuole il cuore, poiché è proprio il cuore che si allontana da Dio oppure lo ama, lo cerca, si fida. Il cuore, nel mondo ebraico, esprime tutta l’interiorità della persona.

Più che incontrare il Signore, ci si accontenta di gesti, di parole e di un miscuglio di poche regole.

E dal momento che la gloria di Dio è ricordata con stupore per i suoi interventi prodigiosi a salvezza del popolo, bisogna stare attenti – dice il profeta- che la stessa potenza di prodigio non possa addirittura rivoltarsi contro il popolo indegno. E i prodigi potrebbero diventare avvenimenti disastrosi e terribili. Nel suo duro rimprovero, il profeta richiama le furbizie nascoste dei sapienti che credono che le loro trame sfuggano agli occhi di Dio e ai suoi profeti, da Lui illuminati. L’immagine interessante e concreta del vasaio, in una società contadina dove si ha particolarmente bisogno del suo lavoro, illustra il rapporto di libertà tra Dio e il suo popolo. E non a caso questa immagine è privilegiata poiché nella Scrittura si parla dell’uomo, fatto con la polvere della terra, con gesti propri del vasaio.

Poi, di colpo, dal versetto 17, cambia il messaggio che diventa portatore della salvezza di Dio, manifestandosi nell’abbondanza dei prodotti agricoli e nel ricupero della piena autonomia della persona, in particolare dei sordi e dei ciechi che sono così in grado di cogliere in pienezza il mondo. Così l’intervento, a tutto campo, è significato anche dal numero 4 (l’orizzonte umano): Libano, frutteto, ciechi e sordi. I risultati sono la pienezza della fiducia, il trionfo della giustizia, la pace. L’elenco ci riserva un bel numero: il 7 che è la completezza, la bellezza e la grandezza del cielo e della terra.

Il messaggio di Isaia, al di là della collocazione e gli avvenimenti storici, ricorda che una società si costruisce nella giustizia e nella coscienza profonda di un dialogo con Dio nell’esistenza quotidiana. La religione diventa insignificante e addirittura pericolosa quando si riduce a formalità. Essa illude le persone di correttezza, semplicemente perché si rispettano le regole del culto.

Lettera agli Ebrei. 12, 18-25

Verificandosi diverse provenienze dei cristiani dal paganesimo o dall’ebraismo, nella Comunità cristiana sorgono facilmente nostalgie, ma anche di recriminazione per la cultura in cui si è cresciuti e che influenza, spesso, ancora molto, i pensieri e le linee di comportamento. Bisogna saper fare una seria distinzione, a partire dalle scelte che si sono fatte, ed è necessario un tempo di verifica e di riflessione per rimettere a posto e coordinare il cammino che si è scelto un tempo, ma che continua ad essere messo a rischio da sentimenti, ricordi, nostalgie, complessi di colpa.

Qui l’autore biblico sente l’esigenza di contrapporre due immagini di montagne che sono anche luoghi dove Dio si è fatto presente: il Sinai e Sion.

Il Sinai, al tempo della liberazione dall’Egitto, fondamento della storia religiosa e della consistenza sociale del popolo d’Israele, è il luogo dove sono avvenuti fenomeni grandiosi, richiamo di dominio e di terrore, come spesso appaiono i fenomeni naturali: lingue di fuoco, tuoni, oscurità e tempesta.

La rivelazione del Sinai si svolge su una montagna avvolta di fuoco, di tempesta e di oscurità, tra squilli di tromba e parole terrificanti. Il popolo, impaurito, scongiura Dio che gli parli attraverso Mosé. In realtà, lo angoscia, insieme, la possibile lontananza da Dio e il terribile comando di dover perfino lapidare un animale che avesse toccato il monte su cui Dio appare (vv19-20). Mose stesso, di fronte a questa grandezza terribile, si sente tormentato e tremante. Così dominante è la paura.

La nuova montagna, Sion, la montagna di Gerusalemme, è il luogo della festa, l’assemblea di uomini liberi e giusti in compagnia degli angeli. E’ stata resa tale da Gesù che svela il volto di Dio Padre, del Dio creatore innamorato della nostra libertà, del Dio amico (noi, infatti, siamo diventati amici di Gesù e non servi: Gv 15,15). E se nell’Antico Testamento ci sono stati molti i mediatori tra il Signore e il suo popolo, oggi c’è un solo mediatore, Gesù. E se la mediazione, in particolare, viene ricordata, per l’antichità, con il significato del sangue delle offerte, uccise in onore a Dio e per il sangue di Abele, il giusto, che grida giustizia (Gen 4,10), qui il sangue di Gesù, da sé solo, ha la potenza e la pienezza di introdurci nel tempio di Dio (10,19).

Il sangue, nel mondo ebraico, è la vita e per rispetto alla vita non lo si può né bere e né mangiare. Gesù, invece, proprio per la forza del sangue che comunica la vita, trasforma l’offerta del suo sangue come incontro di dono di vita e come un banchetto di pace.

L’autore di questa lettera, fiducioso della comprensione dei suoi lettori credenti, incoraggia perché non rifiutino Cristo, il Dio che parla dal cielo con una parola eterna (e il richiamo è ancora ad Abele che grida dalla terra).

Lettura del Vangelo secondo Giovanni. 3, 25-36

Giovanni Evangelista vuole sviluppare, in questo capitolo, la conoscenza di Gesù attraverso due testimonianze: quella di Nicodemo e quella di Giovanni il Battista.

Nicodemo interpella il significato dell’azione di Gesù con il valore dei suoi segni e Giovanni Battista, interrogato da persone del suo gruppo e da discepoli, dice la sua testimonianza come la persona più qualificata a svelare il mistero di Gesù, per quanto possibile, poiché ormai a lui riconoscono il ruolo di profeta.

E’ la prima e unica volta che troviamo nel Vangelo il ricordo di Gesù che battezza egli stesso, dopo essere stato battezzato da Giovanni il Battista. (ma subito dopo, nel suo vangelo, Giovanni evangelista rettifica dicendo che sono i discepoli e non lui che battezzano: v 4,1). Proprio questa iniziativa disorienta nella cerchia del Battista. Gesù dovrebbe essere sottomesso a Giovanni, dovrebbe non sostituirlo nel compiere I gesti della purificazione, non dovrebbe strappargli le folle che adesso si riversano da Lui.

Tutti questi pensieri vengono, più o meno chiaramente, riportati a Giovanni con un miscuglio di risentimento e di gelosia, ritenendo così di fargli piacere. Insieme, questa specie di concorrenza senza neppure aver avvisato Giovanni sa, almeno, di poco rispetto.

Giovanni spiega con molta umiltà e coerenza, valorizzando Gesù e dandogli una grande testimonianza. Non lascia nulla in sospeso, non restano malintesi né rammarichi.

Giovanni richiama il suo ruolo e la sua vocazione. Afferma di essere semplicemente “mandato innanzi a lui” e ricorda loro la propria testimonianza quando era stato ufficialmente interpellato: “Non sono io il Cristo”.

Essi stessi ne sono stati testimoni. Questo Giovanni lo dice mentre, probabilmente, tutti ricordano che Gesù era stato con loro discepolo di Giovanni ill Battista. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: “Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me” (Gv1,15).” (E qualcuno interpreta:”Viene dopo di me” con il compito del discepolo di seguire il maestro) Qui vengono introdotte le due immagini della sposa e dello sposo e quella dell’amico dello sposo.

Ma Giovanni non intende, prima di tutto, fermarsi al riconoscimento di Gesù. Anche per lui è un mistero da scoprire. Quindi si ferma sulla soglia. Ha capito che Gesù è più grande. Ma tiene a voler chiarire la sua posizione, che è quella di essere l’amico che prepara le nozze, che prepara la sposa all’incontro. E la sposa è il popolo di Dio che si è purificato attraverso la predicazione di Giovanni. Il Battista ha tutto preparato perché l’incontro sia splendido, gioioso, pieno. Si risentono le profezie sull’Alleanza di Osea, di Isaia, di Geremia. Giovanni parla della sua gioia piena poiché la sposa è pronta e lo sposo è arrivato. Ora egli deve “diminuire fino a scomparire” perché il suo compito è finito.

Il testo successivo non è di Giovanni il Battista ma dell’evangelista che ha profondamente partecipato, anche commosso, alla testimonianza del Battista, mentre scrive, e desidera continuare a dire ciò che il Battista non poteva ancora capire.

Gesù viene dall’alto, è al di sopra di tutti.

Gesù rivela ciò che ha visto e udito, anche se nessuno accetta la sua testimonianza. Ma Dio è veritiero e la sua parola è la prova vivente che Dio è fedele nella storia, anche se la fedeltà di Dio è spesso ricercata su altre strade.

Gesù, annunciando la Parola di Dio, offre lo Spirito senza misura.

Tutto il mondo è nelle sue mani, tutto quel mondo che Dio ha creato. Perciò, conclude l’evangelista, chi crede nel Figlio riceve la pienezza, la vita eterna, tutta la novità che Dio sa offrire. Chi non ubbidisce al Figlio è lontano dalla vita piena e non coglie nessuna bellezza: “l’ira di Dio incombe su di lui”. Ma la situazione più drammatica che ci può capitare è voler allontanare Dio

La discussione tra i discepoli è un paradigma di ciò che avviene nella vita. Vogliamo che si rispettino alcuni schemi, normalmente legati ai nostri diritti, ai riguardi di rispetto e di anzianità, al fatto di essere primi o secondi, misurandoci su nostri criteri non verificati.

In questo testo Giovanni il Battista dice: “Il mio compito è preparare, essere competente e testimoniare con la mia vita perché le persone che incontro rivedano i propri schemi mentali, chiedano perdono delle rigidità di giudizio e della sclerosi del cuore riguardo Dio e quindi s’incamminino verso di Lui. Per parte mia, accetto di mettermi a servizio di quello che il Signore mi fa capire”.

I testi sull’autorità in cui Gesù parla di servizio: “Chi vuol essere il primo tra voi sia servo di tutti” (Mc10,44) possono essere una traduzione nell’oggi, così come si può collocare qui un famoso richiamo di don Lorenzo Milani agli educatori, ai responsabili di realtà pubbliche, alla classe dirigente, ai Pierini, figli del dottore: “Fai strada ai poveri senza farti strada”( Lettera ad una professoressa)

Tratto da Qumran2.net