11/03/2018

IV DI QUARESIMA -Domenica del Cieco nato

              Signore, nella tua luce vediamo la luce

COMMENTI ALLE LETTURE DOMENICALI

 

  1. ALBERTO MAGGI osm- Centro studi biblici di Montefano

 VANGELO      :       Gv 9, 1-38b    il cieco nato

———————————————————————————————————————-

don Gianantonio Borgonovo

 Prima lettura  :        ESODO        33,17-11°               dal sito Chiesa di Milano

Seconda lettura – : EPISTOLA: 1 Tess 5,1-11

 ———————————————————————————

SALMO : Sal 35 (36) vv   6-7 -10-11  :

Da: “ I SALMI”  di D.M. Turoldo – G. Ravasi  – Pag 120-121

——————————————————————————————–

 ALBERTO MAGGI osm- Centro studi biblici di Montefano

 VANGELO      :       Gv 9, 1-38b    il cieco nato

 In questo episodio Gesù restituisce la vista a un cieco nato, mandandolo alla piscina di Siloe. E l’evangelista specifica cosa significa “l’inviato”, che è Gesù stesso. Quindi Gesù, che si è definito “luce del mondo”, invita quest’individuo, che mai ha saputo cosa fosse la luce, ad andargli incontro. “Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”.

E qui cominciano i guai. Da miracolato, l’individuo si trova subito ad essere imputato. Anzitutto c’è la meraviglia dei vicini, di quelli che lo avevano visto prima, che era mendicante, che non lo riconoscono. E’ strano. Come fanno a non riconoscerlo? In fondo gli è solo tornata la luce agli occhi, non è che ha cambiato fisionomia. E’ che quando si incontra Gesù, e il suo messaggio restituisce dignità e libertà alle persone, si è quelli di prima, ma si è anche una persona completamente nuova.

E’ questo il motivo per cui non riconoscono il cieco nato. E, di fronte alla disputa su “è lui o non è lui”, l’ex-cieco dice “«Io sono»”. E’ lo stesso modo con il quale Gesù rivendica la condizione divina. Quando si incontra Gesù, la condizione divina di Gesù è comunicata anche a quanti lo accolgono. Come aveva detto Giovanni nel su prologo

“A quanti lo hanno accolto ha dato la capacità di diventare figli di Dio”.

Ebbene, incomincia qui il problema per questo ex cieco. Per la prima volta, e ben sette volte – è questo il tema conduttore del brano – gli chiederanno come gli siano stati aperti gli occhi. Per comprendere questa domanda che cadenzerà tutto l’episodio per ben sette volte, bisogna ricordare che “aprire gli occhi” era immagine di una liberazione dall’oppressione, e sarebbe stato il compito del messia.  

Incapaci di avere un’opinione propria, che non fosse quella emanata dalle autorità e dai capi spirituali, conducono questo ex cieco dai farisei, i leader spirituali del popolo. Perché? Perché era sabato. Per la seconda volta Gesù guarisce qualcuno in un giorno in cui era proibito non solo curare gli ammalati, ma anche visitarli. Il sabato – lo sappiamo – era il comandamento più importante, quello che Dio stesso osservava. Quindi sono incapaci di giudicare questo avvenimento perché c’è indubbiamente un aspetto positivo, però c’è la trasgressione del comandamento più importante. Allora anche i farisei chiedono come quest’uomo abbia recuperato la vista. Non c’è nessuna allegria, nessun rallegramento rispetto al fatto che quest’uomo, cieco dalla nascita, avesse recuperato la vista. Ma vogliono sapere soltanto il come.

E, abituati sempre a giudicare tutti e tutto con la legge in mano, che è l’unico loro criterio di giudizio, “alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo»”, cioè Gesù, “«non viene da Dio perché non osserva il sabato»”. L’unico criterio di giudizio per i farisei è l’osservanza della legge, non il bene dell’uomo. Per Gesù, invece, il criterio di giudizio è il bene dell’uomo. Chi giudica in base alla legge, alla dottrina, a un codice, è chiaro e sostiene che Gesù non viene da Dio. Altri chiedevano come potesse un peccatore operare questi segni.

“Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu che cosa dici»”. Incapaci di dare una risposta, vogliono che se la dia l’ex cieco, “«dal momento che ti ha aperto gli occhi»”, è questo che li preoccupa. Li preoccupa che l’uomo abbia aperto gli occhi perché l’istituzione religiosa può dominare le persone fintanto che il popolo è cieco, ma quando apre gli occhi e vede il volto di Dio e la dignità alla quale lo chiama, i primi a farne le spese sono quelli che presumono di essere rappresentanti di questo Dio e in realtà sono soltanto la tenebra che ostacola questa luce del mondo.

 Ebbene lui risponde: “«Viene da Dio». Mentre i farisei erano sicuri dicendo “Quest’uomo non viene da Dio”, il cieco – colui che era cieco vede invece coloro che vedevano sono ciechi – dice: “«E’ un profeta», cioè viene da Dio. Allora entrano in campo i giudei. Con questo termine l’evangelista indica i capi religiosi del popolo; ebbene, per difendere la loro dottrina, questi negano l’evidenza. “Non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse riacquistato la vista”.

Per difendere la loro teologia, per difendere la loro dottrina, per difendere la legge, negano la vita, negano l’evidenza, negano la vita. E intimidiscono i genitori dell’ex cieco e li interrogano. E’ un interrogatorio molto pesante, facendo intuire che sono degli imbroglioni e fanno due domande: “«E’ questo il vostro figlio»”, quindi insinuano il dubbio che non fosse il loro figlio, “«che voi dite essere nato cieco?»” Quindi sono due domande.

“E’ vostro figlio?” e “E’ nato cieco? Come mai ora ci vede?” I genitori rispondono che è loro figlio, è nato cieco, e non sanno come abbia aperto gli occhi e dicono “«Chiedetelo a lui, ha l’età»”. Significa che è maggiorenne, è maggiore di tredici anni.

E l’evangelista annota che dissero questo per paura delle autorità religiose perché avevano già deciso che, chiunque avesse riconosciuto Gesù come il messia, il Cristo, sarebbe stato espulso dalla sinagoga, cioè la morte civile. Con gli espulsi dalla sinagoga, considerati degli appestati, bisognava tenere una distanza di almeno due metri di sicurezza.

Non contenti, “chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Dà gloria a Dio»”, espressione che significa “confessa, riconosci, sii sincero, anche magari a tue spese”. Ed ecco allora la sentenza: “«Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore»” Quindi il giudizio delle autorità deve essere più valido dell’esperienza dell’individuo. Per le autorità il popolo non può avere una propria opinione che non sia quella da loro emanata.

Ebbene la risposta dell’ex cieco è ricca di humor. Dice: “Io non entro in questioni teologiche che non è mia la competenza” … “«Se sia un peccatore non lo so»”, quindi non entra in questioni dottrinali, lui parla della propria esperienza, “«Una cosa so: ero cieco e ora ci vedo»”, voi direte che quest’uomo è un peccatore, voi forse volete insinuare che per me sarebbe stato meglio rimanere cieco piuttosto che recuperare la vista da un peccatore, ma la mia esperienza è positiva: prima ero cieco e adesso ci vedo.

L’evangelista sta dicendo che non la dottrina, ma l’esperienza dell’individuo è quella che ha la meglio. E’ il primato della propria coscienza sulla dottrina. La dottrina può dire quello che vuole, che la tua esperienza è negativa, che sei in peccato, ma se la tua vita ti dice che questo è positivo, se questo ti dà e comunica vita, questo è quello che conta.

Quindi l’ex cieco ridicolizza l’atteggiamento di queste autorità. Dice “se sia un peccatore non lo so, ma so una cosa: ch ero cieco e ora ci vedo”. Ed ecco allora di nuovo l’insistenza della domanda: “«Come ti ha aperto gli occhi?»” Questo vogliono sapere, come ha fatto ad aprirgli gli occhi. E, con fine umorismo, il cieco dice: “«Ve l’ho già detto e non avete ascoltato .. Volete forse anche voi diventare suoi discepoli?»”

Non l’avesse mai detto, “Lo insultarono”. Quando le autorità non sanno come rispondere, passano all’insulto.

“E dissero: «Suo discepolo sei tu ! Noi siamo discepoli di Mosè!»” Loro non seguono un vivente, ma venerano un morto. “«Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio, ma costui …»”, è interessante che nei vangeli le autorità religiose, i Giudei, i capi, quando si rivolgono a Gesù, o parlano di Gesù, evitano sempre di nominare il nome, e usano un termine dispregiativo “Costui”.

“«Costui non sappiamo di dove sia»”. Non conoscono Gesù perché non conoscono Dio, non conoscono il Padre amante della vita.

I difensori del Dio legislatore non possono comprendere le azioni del creatore che non si manifestano nella dottrina, ma nella vita. “Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: voi non sapete di dove sia eppure mi ha aperto gli occhi»”.

Per la sesta volta notiamo l’insistenza di questo aprire gli occhi che il filo conduttore di tutto questo brano, e l’ex cieco, che è un mendicante, con il buon senso, ridicolizza le acrobazie teologiche dei capi.  

Tutti si rendono conto che c’è un intervento divino, meno le autorità. E con il buon senso replica, “«Da che mondo è mondo non si è mai sentito che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla»”. E’ una cosa elementare. E’ una cosa talmente chiara …

Come fanno le autorità a non comprendere questo? La dottrina li ha accecati. Per loro, quello che interessa è il bene della dottrina, quindi la difesa della loro istituzione, e non il bene dell’uomo. A loro il bene dell’uomo non interessa.

Non desiderando apprendere, ma soltanto insegnare, gli replicano con violenza “«Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?» All’inizio del brano c’era la domanda dei discepoli se avesse peccato questo ragazzo o i suoi genitori per il fatto di essere cieco.

La cecità era considerata una maledizione perché impediva lo studio della legge. Ebbene, i Giudei, i capi, non hanno dubbi. E’ nato nei peccati; l’uomo deve tornare cieco per dare loro ragione.

 “E lo cacciarono fuori”, cioè l’espulsione dalla sinagoga.

 Ma non è un gran danno: cacciato dalla religione, trova la fede. Infatti, cacciato dalla sinagoga, Gesù lo cerca e lo trova. I capi religiosi che scomunicano, in realtà sono loro i veri scomunicati.

 ————————————————————————————————————————

 DON GIANANTONIO BORGONOVO

 Prima lettura  :        ESODO        33,17-11°               dal sito Chiesa di Milano

 5-6: La roccia è presentata in Es 17 come il luogo in cui si dà il segno dell’acqua, , davanti al quale Mosè deve presentarsi e parlare alla comunità. Quanto Paolo esplicita in 1 Cor 10,4, dicendo che quella roccia è Cristo, è l’esatta interpretazione di Nm 20, in cui la roccia è la presenza di JHWH.

In tanti testi poetici JHWH è la Roccia (cf, ad esempio, Sal 19,3; Dt 32,4): essa è simbolo di una presenza spirituale, non soltanto uno strumento dal quale Dio fa sgorgare la sua acqua: è Dio stesso. Tutto questo mostra una tradizione secondo la quale l’acqua che scaturisce dalla roccia ha accompagnato i figli di Israele fino all’arrivo in Canaan. La tradizione giudaica parla di questa acqua che si fermava quando i figli di Israele si fermavano e si muoveva quando essi si muovevano. È la tradizione a cui fa riferimento 1 Cor. Che tali tradizioni siano un’interpretazione in linea con il testo di Nm 20 sembra confermato anche dal fatto che si tratta di una roccia che dà la propria acqua – sua di sé, non l’acqua di Dio: così almeno nel testo ebraico in Nm 20,8. Non è dunque la roccia, ma Dio stesso che attraverso la roccia si rende presente al suo popolo.

  1. 7: Il racconto si chiude con l’etimologia dei nomi. In Es 17,7 si dà l’etimologia di Meriba, mê rîb «le acque della contesa», e di Massa, interpretato come luogo del nsh, della «prova», perché in quel luogo Israele mise alla prova JHWH (cf v. 2).

La domanda finale dice in termini più precisi il contenuto della prova: «Ma JHWH è in mezzo a noi, o no?». Nm 20,13 aggiunge anche l’etimologia di Qadeš: lì JHWH si è mostrato «santo» (qādôš).

—————————————————————————————————————————-

 SALMO : Sal 35 (36) vv   6-7 -10-11  :

 Da: “ I SALMI”  di D.M. Turoldo – G. Ravasi  – Pag 120-121

All’abisso del male , che emette i suoi oracoli sulle labbra degli ingiusti , si oppone l’abisso della bontà divina che si effonde nei giusti quasi come “ il fiume del sognato Eden” (v9) .  tra questi due abissi cammina l’uomo. L’orante ha, però,  già scelto in quale mare naufragare, in quello della luce di Dio. Lo straordinario v. 10 è la celebrazione di questa immersione nella vita e nell’infinito.

 ——————————————————————————

DON GIANANTONIO BORGONOVO–dal sito Chiesa di Milano

 Seconda lettura – : EPISTOLA: 1 Tess 5,1-11

-nella Prima Lettera ai Tessalonicesi, il primo scritto del Nuovo Testamento in assoluto (potrebbe essere stata scritta dalla fine del 49 agli inizi del 52 d.C.), vi è questa esortazione a vivere l’attesa della παρουσία con atteggiamenti propriamente evangelici. Sebbene la comunità di Tessalonica fosse già stata ampiamente informata del problema (v. 1), Paolo vuole riprendere tale esortazione per mantenere viva la speranza di cui ha parlato nel passo precedente (4,13), alla maniera di coloro che credono in Cristo risorto.

—————————————————————————————————————————–