04/06/2017

DOMENICA DI PENTECOSTE –

Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra

don Raffaello Ciccone -Traccia di comprensione

At 2,1-11; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20

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 Vangelo secondo Giovanni. 14, 15-20

Nel Vangelo dl Giovanni continua il “discorso di addio” che nelle Scritture ritroviamo in altre circostanze: Giacobbe (Gen 49), S. Paolo (Atti 20,17-38). Qui è riproposto il messaggio globale: la ricapitolazione di tutto l’insegnamento di Gesù in una forma dialogica e familiare, la promessa dello Spirito e la rivelazione del progetto di Dio Padre sull’esistenza di Gesù (soprattutto nella preghiera sacerdotale: c.17).

– Stretta relazione tra amare Gesù e osservare i suoi comandamenti: non si dice di quali

comandamenti si tratti, ma si sintetizzano, nel richiamo alla sua predicazione e alla concretezza, in un rapporto con Lui. Non si tratta di proclamare principi o pronunciare discorsi, ma di accogliere i comandi di Gesù.

– Dono del Paraclito: “Egli vi darà un altro Paraclito”: primo dei cinque testi che riguardano lo Spirito (Paraclito, Spirito di verità, Spirito Santo) nel discorso dopo la cena. Inviato dal Padre (o da Cristo) dopo la partenza di Gesù (16,7;7,39;At 2,33), dimorerà per sempre presso i discepoli (14,15-17), per “insegnare” e “ricordare” completando la comprensione dell’insegnamento di Cristo (14,25-26). Lo Spirito conduce i discepoli in cammini di verità (8,32), spiegando loro il senso degli avvenimenti futuri (16,12-15; cf.2,22;12,16;13,7;20,9).

La tradizione ebraica conosce un personaggio chiamato “Paraclito”, “difensore” che aveva la funzione di sedersi accanto agli accusati in tribunale e di ridimensionare o cancellare le accuse di chi era citato in giudizio. Gesù si preoccupa di rassicurare i discepoli perché finora il “difensoreconsolatore” è stato Lui. Ma dopo la sua morte ci sarà un “altro Consolatore” che abiterà stabilmente in loro.

Come portatore di verità, insegnando e facendo ricordare ciò che Gesù ha detto (Gv 14,26), condurrà i discepoli verso la verità completa (Gv 16,13). Infatti alla Comunità cristiana, che Gesù lascia, resta il preziosissimo compito di sviluppare la missione iniziata da Gesù nel mondo. E’ perciò fondamentale che si rafforzi con chiarezza la fede della Chiesa e di ciascuno nella Chiesa.

Il mondo non vede e non conosce: non ha capacità di comunione ma Gesù tiene fortemente al mondo.

Nel Vangelo di Giovanni “mondo” ha 3 significati diversi: 1) mondo è l’ambiente in cui opera l’uomo = la terra. 2) indica l’umanità che Dio ama (Gv 3,16: “Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio”). 3) indica una realtà in mano al maligno: il “principe di questo mondo” (Gv12, 31) che si oppone a Gesù, ma Gesù lo vince (“Io ho vinto il mondo”: Gv 16,33).

Il cristiano, in tutti i tempi, diventa luogo di incontro, dimora del Dio trinitario poiché la pienezza di Dio si apre nel cuore del credente che si trasforma nella tenda stessa di Dio: “Se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a Lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).

La Pentecoste è come una grande garanzia che Gesù ci lascia: nello Spirito resta con noi. Il Dio trinitario cammina nel tempo, trasforma con noi il mondo, ci irrobustisce e ci aiuta a scoprire i suoi segni, le sue tracce nella storia. Gli avvenimenti degli ultimi 50 anni ne sono un esempio bellissimo, tutto da riscoprire.

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Atti degli Apostoli 2, 1-11

Negli Atti degli Apostoli il racconto della Pentecoste si inserisce in una cornice ebraica fissata nel calendario delle feste, a 50 giorni dalla Pasqua, con due significati: festa della raccolta del frumento, le cui primizie vengono offerte a Dio in gratitudine per i doni ricevuti e memoria del regalo della Legge sul Sinai (Torah) che si è conclusa con l’Alleanza.

Se la Pasqua rappresenta l’ora del fidanzamento di Dio con il suo popolo, liberato dall’Egitto, la Pentecoste richiama le nozze, nella scelta reciproca e nel patto. Con la “festa delle settimane ” (così chiamata) si compie il primo grande impegno solenne del popolo d’Israele. Con la Pentecoste cristiana si celebra la nuova Alleanza nel dono dello Spirito.

– Il dono di Dio passa da “tutti” a “ciascuno” e va dall’esterno all’interno: Dio entra in una comunità e arricchisce ogni persona della sua forza.

– Parlare in lingue significa assumere un linguaggio diverso (la lingua degli altri) e quindi portare nel cuore di ciascuno il messaggio nuovo di salvezza. Difatti Pentecoste è la grande apertura che Dio fa ad ogni uomo mediante il suo Spirito che è lo Spirito di Gesù e della sua Chiesa, portatrice qualificata perché testimone di Gesù.

– Lo Spirito scende sugli Ebrei credenti: i destinatari primi sono gli Ebrei che vengono da tutto il mondo conosciuto. Non è ancora la “Pentecoste dei pagani” (Atti 10, 44-48) ma l’elenco delle nazioni enumera l’ampiezza geografica dei popoli.

Se il racconto dell’apparizione di Dio al Sinai parlava, attraverso le tradizioni rabbiniche, di 70 lingue diverse per proclamare la legge, secondo le 70 nazioni della terra (Gen.10), qui c’è un catalogo di 15 paesi, raggruppati sotto i 12 segni dello zodiaco, che si collocano, nella maggior parte, da est ad ovest tra il golfo Persico e la parte orientale del bacino del Mediterraneo. Ci sono 15 nomi localizzabili, più due che introducono una distinzione qualitativa: “ebrei e proseliti”.

Ricordano gli ebrei e i pagani, attratti dalla forza della più stretta fede nel Dio unico. I

prosèliti: sono coloro che, pur non essendo Giudei di origine, hanno abbracciato la religione ebraica ed hanno accettato la circoncisione. Così sono divenuti membri del popolo eletto (cf.6,5;13,43;Mt 23,15). «Giudei» e «prosèliti» non sono quindi nuove denominazioni di popoli, ma solo termini che qualificano quelli già enumerati.

– Meraviglia e sbigottimento (ripetuti 3 volte) richiamano il superamento dell’incomprensione esistente tra popolo e popolo, tra lingua e lingua. Iniziata con la torre Babele (Gen 11,1-9) quando Dio confuse il linguaggio dei popoli, le nazioni si trovarono, per la loro esibizione e superbia, incapaci di capire e di comunicare e quindi all’origine della violenza che porterà le genti della terra alla guerra e alla morte, in tutta la loro storia.

Tradurre il linguaggio di Dio e i fatti della sua presenza tra noi (v 6) significa tradurre la presenza di Gesù e del suo Spirito nella vita quotidiana di ciascuno. Infatti, se il messaggio si comunica come una presenza familiare, immersa nella propria esperienza condivisa ogni giorno, diventa consapevolezza e carne della propria esistenza.

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Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 12, 1-11

Nel mondo greco, mentre c’era rimpianto per i fenomeni estatici che nascevano dalle pratiche pagane, c’era anche il tentativo di attribuirsi maggior valore e maggiore capacità e dignità rispetto agli altri per il possesso di alcune manifestazioni straordinarie. Così regnava una notevole confusione a causa dei molti “carismi” che i cristiani manifestavano nella loro vita privata e nella comunità. Anzi, a causa di questi doni, spesso, sorgevano invidie, gelosie, discussioni, confronti.

Così, nei tre successivi capitoli, Paolo sviluppa una sua riflessione sui carismi:

– I carismi sono dati per il bene della comunità: perciò non devono dare occasione a

rivalità (c 12).

– La carità li sorpassa tutti (c 13).

– La loro gerarchia si stabilisce in base al contributo che portano all’edificazione della

comunità (c 14).

Così S. Paolo, tra gli argomenti che affronta nella prima lettera ai Corinzi, intende chiarire, nel capitolo 12, il valore dei doni (“carismi”) di cui è dotata questa comunità, suggerendo che l’origine è lo Spirito Santo e la finalità è “l’utilità comune” (v 7). Si vuol leggere un progetto e ci si rende conto di una coscienza particolarmente preziosa in tutti nella Chiesa. Tutti hanno qualche cosa di nuovo e di bello da portare: “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune” (v 7).

Fondamentale, per comprendere l’unità della Chiesa e per compiere una verifica sull’autenticità del proprio linguaggio, è la professione di fede in Gesù: “Gesù è Signore”. Solo il riconoscimento di Gesù come Dio manifesta il dono dello Spirito.

  1. Paolo mostra la vera sorgente di tali doni. Essi scaturiscono dalle tre persone divine: lo Spirito, il Signore (per Paolo è Gesù risorto) e Dio indicato come il Padre (1,3). Il dispensatore nella comunità resta comunque lo Spirito che la arricchisce con la sua pienezza, offrendo questi “doni” in vista di una crescita globale. E viene fatto l’elenco dei “carismi” costituito da nove elementi: è la lista più lunga che si trovi nelle lettere (1 Cor 12, 28-30; 14,26; Rm 12,6-8; Ef 4,11).

Il linguaggio della scienza e il linguaggio della sapienza sono strettamente legati alla comprensione del mistero cristiano. E però la fede, in questa situazione, è molto meno adesione personale all’annuncio cristiano e molto più una fondamentale fiducia nel compimento dei miracoli (Mt 17,20). I miracoli e le guarigioni distinguono la comunità cristiana per l’attenzione ai malati e per la confidenza del credente nella bontà di Dio. La profezia costituisce il contenuto del cap. 14: è la capacità di convertire, esortare, persuadere con il dono della Parola alla costruzione della comunità. Si parla poi del discernimento che aiuta ad operare un giudizio critico per aiutare le persone a scegliere; e quindi si parla della glossolalia (il parlare in lingue incomprensibili: S. Paolo

non stima molto questo dono: 14,6-11), e della interpretazione delle lingue.

Tutto aiuta a costruire, ma bisogna arrivare al carisma più alto che arricchisce ogni realtà in armonia: esso è la carità (12,31).

Tratto da Qumran2.net